mercoledì 5 novembre 2014

Enzo Comin e Fabio Roncato al TRA - Treviso Ricerca ARTe

di Venzo Mirco



Il 29 ottobre al TRA di Treviso ospitati da Chiara Casarin per trattare il tema “L’attesa/la paura” erano presenti Enzo Comin e Fabio Roncato.
Il primo opera su un terreno riconducibile alla fotografia.
Nel primo lavoro presenta delle immagini che testimoniano la ricostruzione dei cantieri navali di Monfalcone all’indomani della seconda guerra mondiale (15/10/1945).
Le immagini estrapolate da vecchie foto d’archivio sono rielaborate e riproposte su delle tele da quadro che il padre pittore non aveva utilizzato.
“Il messaggio che voglio trasmettere è di positività: così come al termine dei bombardamenti gli operai del cantieri si son rimboccati le maniche e si son messi a ricostruire, così si potrà e si deve fare oggi per uscire da questa crisi economica!”
Enzo ci spiega che il lavoro CANT_IERI lo considera adatto a trattare il tema dell’attesa perché questo sentimento appare a più riprese.
Le tele preparate del padre hanno aspettato lustri prima di poter diventare opera d’arte, e questa è una prima “attesa”.
L’operazione di trasferimento delle immagini dai supporti fotografici alle tele han richiesto parecchio tempo causa la tecnica utilizzata, generando nell’artista “attesa” di settimane prima di poter visionare il risultato ottenuto.
Attesa mista a paura; sempre in questo caso vi è il rischio dopo aver aspettato di vedere un risultato insoddisfacente.
E l’ultima “attesa” è forse la più importante: quella legata alla ricostruzione odierna che è lo spunto cardine del progetto.
E’ un auspicio, ma a quanto pare questa ricostruzione socio economica deve ancora iniziare… insomma: l’attesa continua!
Enzo propone poi un secondo lavoro affine al primo ma ambientato a Erevan, capitale dell’Armenia.
Sono delle immagini ottenute sovrapponendo scatti del passato a scatti attuali.
Il lavoro cerca di mettere in relazione anche l’evoluzione urbana della capitale che sta vivendo una rivoluzione singolare.
Gli enormi palazzi popolari anonimi e grigi, realizzati al tempo del regime comunista sono sostituiti da nuovi palazzi che paiono molto simili a qulli che dovrebbero sostituire.
L’artista non lo dice apertamente, ma riesce a far parlare le immagini che propone al pubblico di TRA: se la popolazione armena aspettava con speranza unita a grandi aspettative una mutazione, questo cambiamento pare esser avvenuto.
Il regime comunista è stato sostituito da un altro sistema socio economico e anche fisicamente si vede mutare la città, le nuove costruzioni nascono come funghi e vanno a sostituire le vecchie.
E però questo cambiamento esprime in modo chiaro delle incongruenze molto forti: stanno crescendo non solo il numero di nuove palazzine, ma anche il numero di abitazioni sfitte e il numero di “senza tetto”.
Qualcosa pare non funzionare nel nuovo sistema socio economico e molti armeni (non tutti, vi è spaccatura su questo punto) oltre a dover prorogare l’attesa per vedere il loro mondo cambiare in meglio, iniziano veder crescere il sentimento della paura.
Come segnalato da uno del pubblico, pare addirittura che i vecchi caseggiati siano preferibili a quelli di nuova costruzione.
Le immagini proposte “raccontano” che le vecchie strutture sono abitate e quindi “vive” mentre le nuove sono per lo più disabitate, cattedrali nel deserto: sono nate “morte”.
Non solo le case “vive” erano case di tutti, mentre le case nuove sono case solo di pochi privati molto abbienti che stoccano nell’immobiliare le loro eccedenze di denaro aventi chissà quali provenienza.
Comin si congeda raccontando l’esperienza di una vecchietta che non usciva mai di casa per evitare che questa le venisse abbattuta durante la sua assenza.
L’abitazione era stata acquistata si presume da qualche gruppo finanziario privato e come per il resto della città, l’obiettivo era abbatterla per sostituirla con nuovi palazzi.
Un bel giorno l’anziana signora esce per acquistare qualcosa da mangiare e al rientro vede che la “sua” abitazione è stata abbattuta.
Non regge al colpo ed il suo cuore cede: infarto!
Il racconto prevede anche una beffa finale: nella cultura religiosa del luogo i funerali si celebrano in casa, quella casa che le era stata tolta, così anche l’estermo saluto è stato di second’ordine, trattata come vengono trattati i senza tetto.
Dal lavoro di Comin si evince che i nuovi palazzi che sostituiscono i vecchi rimangono disabitati perché molti armeni, come nel caso della vecchietta, non possono permettersi di pagare l’affitto o meglio di acquistare le nuove abitazioni.
A questo porta la modernità che si sta realizzando giorno dopo giorno in Armenia, a conferma che le paure di molti abitanti del luogo sono concrete e che la loro attesa di un futuro roseo è tutt’altro che terminata!
Fabio Roncato, il secondo artista presente al TRA presenta due lavori molto diversi da quelli del collega, il primo che descrive nasce per essere proposto in un museo.
“Il museo è il luogo che racconta le strategie che le varie specie han elaborato per sopravvivere” ma che ora non ci son più… “In questo teatro mi pareva interessante proporre un evento estremamente drammatico, come la morte di una stella”.
L’opera consiste in un treppiede collocato sopra una piastra riscaldata.
Lo strumento termina con uno smartphone a sua volta connesso con un laboratorio spaziale australiano dove un telescopio mette a fuoco una nebulosa.
In definitiva nel piccolo display del cellulare, l’utente vede l’immagine della stella che muore…
A cosa serve la piastra riscaldata alla base della struttura?
In questa piastra vi è un mix di oli essenziali aventi aroma di incenso, quello che nella cultura cattolica si usa quando ci sono i funerali.
Chi si avvicina all’opera viene per tanto investito anche da una sensazione olfattiva che lo stimola nella direzione voluta dall’artista, riconducibile alle cerimonie funebri.

La stella che esplode, evento traumatico, lancia nell’universo un’infinità di atomi, e sono quelli che a noi permettono di vivere.
L’attesa è quella che ha dovuto compiere la stella che oggi è messa a fuoco dal telescopio australiano per esser osservata.
Un’attesa lontanissima da noi sia in termini di spazio che di tempo.
Oggi stiamo assistendo ad un evento che “laggiù” ad anni luce di distanza, si è già concluso!

Anche il secondo lavoro presentato da Fabio prevede l’utilizzo di un attrezzatura estremamente sofisticata: una strumento che riesce a percepire le micro vibrazioni sempre presenti, nel terreno: il tromino.
Le vibrazioni rispondono al tipo di conformazione del terreno, va da se che se in un area c’è stata della movimentazione del terreno per opera dell’azione umana, le vibrazioni rilevate dalla macchina saranno di tipo diverso dei terreni dove tale azione non è stata posta in essere.
L’artista trasformando le differenti vibrazioni in differenti ritmi trasmessi ad un tamburo riesce a dar voce alla terra che può raccontare la sua storia.
Una storia che aspetta di esser raccontata ed ascoltata da molto tempo.
Ecco perché questo lavoro rientra nel tema dell’attesa.
L’artista pensa di far esordire questo meccanismo nella zona del Montello dove l’analisi delle mappe militari di allora parlano di importante azione antropica, realizzata proprio a fini bellici.
Fabio immagina che i rumori (suoni) generati dal tamburo connesso allo strumento geologico daranno voce alla sofferenza dei soldati che rimasero segregati nelle trincee dove molti di loro trovarono anche la morte.
Per evidenziare questo aspetto tragico, l’artista vuole realizzare i tamburi che emetteranno tali suoni in pelle di agnello, da sempre animale sacrificale.

La Casarin riferendosi ai lavori di Fabio Roncato evidenzia come la figura del artista stia cambiando: alle opere tradizionali del pittore o dello scultore che con le sue mani cercava di trasmettere delle sensazioni, emozioni, si sostituisce un Fabio Roncato che usa strumenti appartenenti al mondo tecnologico, per trovare elementi poetici la dove uno non si immagina ci possano essere: la morte di una stella avvenuta lontanissimo da noi, in un tempo remoto, il “canto” del terreno che oggi può finalmente piangere gli eventi avvenuti un secolo fa.
La Chiara evidenzia in oltre come Fabio abbia sfruttato un senso, l’olfatto per corredare il suo primo lavoro, e come utilizzi un altro senso, l’udito per dar forza al secondo.

Verso fine serata una donna del pubblico ha sottolineato come gli artisti convocati al TRA dalla curatrice diano molto spazio nella loro opera al misticismo e alla filosofia: “Questo nostro mondo ha davvero bisogno di idee!”.

Mirco Venzo

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