martedì 3 marzo 2015

Damien Hirst e i Young British artists a Ca' dei Ricchi

 di Mirco Venzo

Sala strapiena a Ca’ dei Ricchi mercoledì 25 febbraio per ascoltare Carlo Sala alla sua seconda presentazione di arte contemporanea incentrata su Damien Steven Hirst (Britstol 1965) e gli “Young British Artists” di Londra.

Gli uomini di riferimento della serata sono Damien, in questo periodo numero due tra gli artisti più pagati al mondo e Charles Saatchi pubblicitario, gallerista e collezionista anglo-iracheno.

Damien sale alla ribalta nel 1988 grazie ad una mostra intitolata “Freeze”.

Freeze significa “congelamento” ma è un vocabolo usato anche nella breakdance dove il corpo del ballerino si ferma per un attimo, rimane immobile, sospeso in situazioni improbabili, ad esempio testa verso il basso e piedi verso l’alto in equilibrio su una sola mano a contatto del suolo.
E il richiamo di questo “fermare momenti improbabili” è evidente nelle opere di Damien e dei suoi artisti.
Tutta l’idea artistica di Damien s’impregna sul concetto di creare shock.
“Io voglio che l’artista sia una rock star” fu uno dei suoi slogan e l’evento artistico è creato con gli stessi criteri con cui si crea uno spettacolo.
La cosa più importante è il marketing e se per attirare l’attenzione si deve creare scalpore e scandalo, poco male, quando si è in ballo si balla.
Damien comprende che l’arte si fa con le idee e non con la manualità: la sua opera più famosa intitolata “The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living” (ovvero, L'impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo), vede protagonista uno squalo tigre di quattro metri imbalsamato e inserito in una teca di materiale trasparente, avvolto in formaldeide.

Carlo Sala che ha visto personalmente l’opera ci informa che porsi di fronte all'animale che ha le fauci spalancate, ti mette addosso un senso di paura.
Ed è questo uno degli obiettivi di Hirst: generare emozioni.
Lo squalo non l’ha catturato lui, è il frutto di una telefonata fatta in Sud Africa dove un cacciatore di questi pesci ha chiesto 4000 dollari per l’animale e 2000 per la spedizione.
Il prezzo è stato accettato e si è organizzata la mostra a Londra.

Che c’è di manualità in tutto questo? Nulla, l’artista ha messo solo l’idea e la capacità organizzativa.

La provocazione che esce dalla serata è che tenere in mano un pennello a partire dagli anni novanta non è più indispensabile per essere un artista (già altri ad ogni modo prima di Hirst questo concetto l’avevano ben espresso), ciò che conta è la capacità organizzativa.
Damien non ha cacciato lo squalo, ma ha avuto l’idea e soprattutto ha saputo concretizzarla, procurandosi gli sponsor per l’evento e attirando alla mostra una grande folla.

Anche qualificata, dove tra gli altri è intervenuto il gallerista Saatchi, una delle figure principali tra gli uomini che s’interessano di arte intesa come business.

L’uomo d’affari è rimasto folgorato dall'opera “A Thousand Years”: in una teca trasparente a forma di parallelepipedo vi sono due sezioni connesse l’una all'altra da un foro non molto grande.
In una sezione vi è un cubo in legno, dove dentro vi è un nido di mosche che una volta nate escono e svolazzano libere da un angolo all'altro della sezione.
A furia di ronzare finiscono per approdare al foro che le indirizza nella seconda sezione dove in bella vista giace la testa mozzata di una mucca, adagiata nella sua chiazza di sangue.
Lì le mosche (vive) possono trovare nutrimento. Sopra la testa dell’animale vi è una macchina per ammazzare le mosche. Quelle che vi entrano in contatto rimangono folgorate.

Carlo Sala ci spiega il valore dell’opera:
“E’ una metafora del cerchio della vita. Si nasce e si muore. Non solo, la morte di taluni (il bovino) è la vita per tal altri: le mosche.

Damien va oltre agli stimoli che altri prima di lui avevano lanciato perché la testa vera dell’animale, al pari della veridicità dello squalo nell'opera precedente, danno peso all'impatto emotivo dello spettatore. La teatralità e le emozioni che si provano sono implementate. I temi di Hirst e del suo gruppo sono riconducibili per molti aspetti a quelli trattati nell'epoca della peste: il 1600.
La morte al pari di quel secolo è uno dei temi ricorrente nelle opere dell’inglese, che come gli artisti barocchi enfatizzavano con i mezzi a loro disposizione la platealità, esasperandone l’impatto emozionale”.

Saatchi comprende subito che le opere di Damien e del suo gruppo sono “la novità” e spinge al successo questi giovani, ricavando lui stessi ingenti benefici monetari dall’operazione.
Ecco che il gruppo di giovani sconosciuti uscito dall'anonimo o quasi Goldsmiths Institute di Londra salgono alla ribalta.
In breve approdano alla “Royal Accademy of Arts” di Londra creando scalpore: tre accademici rassegnano le dimissioni in segno di protesta contro i giovani artisti.
Questo non frenerà per niente l’ascesa di Damien che attraverso provocazioni e polemiche vede crescere la sua fama.

Le sue opere parlano della morte, e del ciclo vitale, usando quando possibile animali vivi.

Come nel caso delle farfalle chiuse in due stanze senza finestre esposte alla Tate Modern Gallery di Londra. I lepidotteri hanno mangiato, vissuto e sono morti nello spazio angusto dove venivano ferite a morte o uccise dai visitatori che se le scrollavano di dosso, e gli camminavano sopra. Ogni settimana gli animali morti erano sostituiti con altri.
La Tate Gallery ha stabilito che 9.000 lepidotteri siano morti durante l’esposizione dell’opera, altre stime fanno salire fino a 20.000 questo numero. Gli animali utilizzati appartenevano a due specie tropicali, che in natura vivono fino a nove mesi, mentre nell’esibizione sono durati pochi giorni, a volte solo poche ore.
Gli animalisti naturalmente si sono scagliati contro l’artista con il risultato di rendendolo più popolare.

La serata prosegue con la presentazione di altri artisti e delle loro opere, particolarmente suggestivo ad esempio “Self” di Marc Quinn.

L’opera è una testa perfettamente uguale all'originale realizzata utilizzando il sangue dello stesso artista che se lo preleva un po’ alla volta settimanalmente.
Per completare il lavoro sono serviti circa cinque anni e 4,5 litri del proprio fluido vitale.
L’opera è in divenire perché a distanza di tempo altre teste dello stesso artista vengono riproposte (sempre realizzate con la stessa modalità), rendendo evidente come lo scorrere del tempo genera deterioramento nell'essere umano.

Anche in questo caso la tecnologia è importante: la teca che racchiude la testa dell’artista deve mantenere costante una temperatura di parecchio sotto i zero gradi celsius; se il flusso di freddo si dovesse interrompere, l’opera squaglierebbe con danni ingenti per il proprietario.

La prima testa realizzata da Quinn è stata acquistata da Saatchi per 13.000 sterline ed è stata rivenduta ad un collezionista americano a un milione e mezzo di sterline.

La possibile precarietà della catena del freddo rende incerta l’esistenza dell’opera, trasmettendo immediatamente nello spettatore l’idea di fragilità dell’intera esistenza.
Ecco reinterpretato con differente sensibilità artistica uno dei temi già affrontati da Hirst: la precarietà dell’esistenza.

Tra le opere di Quinn più note vi è la statua di Alison Lapper.

A Trafalgar Square, nel centro di Londra vi è un plico, dove doveva esser posizionata la statua di Re Guglielmo IV, mai portata a termine.

Dal 1998 artisti a rotazione, per 18 mesi, possono esporre una loro opera e Quinn ha scelto di proporre il corpo della sua amica Alison, nata senza mani e con le gambe più corte.
Importanti polemiche anche in questo caso hanno avvolto la scelta, la piazza è molto trafficata e l’immagine ha disturbato parecchi londinesi considerato il tema.
Alla fine però la critica ha difeso la scelta dell’artista: le associazioni dei portatori di handicap hanno difeso l’opera che altro non faceva se non sensibilizzare la folla sul tema degli handicap.

Sala ci fa notare che non sia solo la morte quindi uno dei temi prediletti dagli “Young Boys” londinesi, ma anche il corpo nei suoi molteplici aspetti.

Lo stesso Marc Quinn ha analizzato ed elaborato più sculture su una delle icone rappresentative del suo tempo dal punto di vista della fisicità, la modella Kate Moss.

Tra esse la più eclatante è “Siren” dove la modella è rappresentata grandezza reale in posizione Yoga (per tanto una grande plasticità del corpo è esaltata, ma non solo quella, a mio avviso anche la sensualità è esaltata dalla posizione scelta dall’artista.)

“Siren” è realizzata completamente con oro a 18 carati: “la più grande statua d’oro realizzata dai tempi dell’antico Egitto”, così è presentata ai tabloid.

Rimanendo nel tema delle provocazioni uno spazio merita Tracey Emin che doveva allestire un’opera per una mostra, ma non sapeva che cosa proporre.
Andò in depressione fortissima e alla fine decise di esporre il letto dove aveva vissuto per otto giorni senza quasi mai allontanarsi da esso, causa il suo stato psicofisico.

L’opera “My bed” vede quindi un letto sfatto con le lenzuola sporche, mozziconi di sigaretta, biancheria intima sporca (con tanto di macchie di sangue) un test di gravidanza e dei peluche.
L’opera è stata battuta all’asta per un milione e duecentomila euro!
Chiudo il riassunto della serata parlando di Jenny Saville, figura che si discorsa dai suoi colleghi, a mio personale avviso, poiché le sue opere, almeno quelle presentate da Sala, sono pitture realizzate da un’ottima tecnica.

Il tema è presentato dal curatore è la fisicità problematica, ed ecco che la Saville rappresenta ad esempio un corpo con due teste (gemelli siamesi)? O lo sguardo di una ragazza cieca.

La Saville, si avvale di una tecnica molto raffinata, i dipinti sono molto realistici e la drammaticità non è enfatizzata dall’artista, ma è inerente al soggetto scelto di esser rappresentato.

Caso mai la ragazza di Cambridge riesce a restituire umanità al soggetto, rappresentandolo con le sue emozioni.

La serata è stata molto interessante è una nota di merito la devo riconoscere a Carlo Sala, indiscussa star dell’evento che con la sua capacità descrittiva, la sua competenza e le sue analisi ci ha saputo far apprezzare le provocazioni di questi artisti.

Il prossimo appuntamento è previsto per mercoledì 11 Marzo sempre in via Barberia a Treviso.

Mirco Venzo, Treviso

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