martedì 27 gennaio 2015

A #Treviso: Museo in vetrina - Ottavo e ultimo appuntamento dell'anno appena concluso

di Mirco Venzo

Quattro artisti molto diversi per stile l’uno dall’altro sono stati proposti da Daniel Buso a Ca’ dei Carraresi per chiudere in bellezza l’iniziativa “Museo in Vetrina” dello scorso anno (le loro opere sono rimaste a disposizione del pubblico sino al 2 gennaio 2015), la matrice che li accomuna è l’astrattismo.

Luciano Gasparin, vicentino, nelle sue opere pone in primo piano la figura umana che però non è mai definita.
Da poco aggiunge delle vecchie foto nella sua opera che non sono da correlare direttamente all'immagine. Sono un nuovo elemento a disposizione dello spettatore per inventarsi delle associazioni in linea con il proprio vissuto.

Federico Pisciotta nasce a Roma e fonde la cultura pop, l’estetica delle avanguardie alla visione surrealista della realtà.
I dipinti di Pisciotta come pure quelli del suo collega vicentino prediligono la figura umana ma in questo caso i dettagli sono precisi e l’immagine risulta chiara allo spettatore.
Pur tuttavia vi è sempre ben visibile un led luminoso con la scritta “PLAY” che rimanda lo spettatore al mondo virtuale, evidentemente quella figura non appartiene alla realtà ma è una rappresentazione della stessa.
A che gioco stanno giocando quei personaggi?

Enrico Civeriati è un fotografo che realizza delle stampe “Fine art inkjet” con inchiostro a pigmenti.
I suoi soggetti sono urbani, palazzi tendenzialmente anonimi, abbastanza sovrapponibili da una all’altra foto.
Il vero elemento discriminante, che caratterizza l’opera risulta quindi essere il riflesso che viene restituito allo sguardo dello spettatore dal vetro delle finestre di quei palazzi.
In quel momento Civeriati manifesta la sua essenza di fotografo concettuale perché ci obbliga a comprendere la realtà interpretando non gli elementi ben definiti dall’immagine fotografica, quelli certi, ovvero i palazzi, ma utilizzando la sua parte più distorta e confusa.
Sono i riflessi, quindi l’elemento meno sicuro dell’immagine che ci permette di ricostruire attraverso le nostre intuizioni lo spirito e le sensazioni della città che viene rappresentata.
I titoli delle opere sempre riferiti a differenti città europee sono indicativi, e vanno intesi come suggerimenti posti a disposizione dello spettatore per completare con la propria immaginazione le scarne informazioni rimandate dall’opera.
Gli scatti infatti non sono mai stati realizzati nelle città che danno il titolo alle stampe.

Ad aiutarmi a comprendere il progetto posto in essere dal curatore è l’artista con cui ho avuto occasione di dialogare, Chris Rocchegiani.
La ragazza dotata di una voce molto esile e delicata, trasmette queste caratteristiche anche ai suoi quadri, realizzati in olio su tela.
La serie esposta è tutta parte di una collezione dal titolo “Interni senza niente” dove il soggetto del quadro è un oggetto che viene messo a fuoco, seppur anch’esso senza abbondanza di dettagli, estrapolato da una stanza che è sempre vuota, priva della presenza umana ma di dove l’umanità si evince proprio dalla presenza di quell’indizio.
“Chi visiona i miei lavori non deve arrivare ad un punto predeterminato, ma deve andare oltre gli oggetti, deve aggiungere del proprio…”

E’ questo il trait d’union di tutti i lavori presenti a Ca' dai Carraresi, sempre lo spettatore deve aggiungere del suo, recuperando dalle proprie esperienza, dalle proprie intuizioni o emozioni, gli elementi che volutamente vengono a mancare nelle opere esposte.
Ecco che quella stanza da letto rappresentata da un bianco e nero che mi risulta cupo, mi induce a pensare a delle notti agitate, chissà forse insonni.
Quegli ombrelli su sfondo chiaro mi rimandano all’idea di pioggia vissuta con leggerezza, e circa l’interpretazione della pipa rossa con quella gabbia vuota lascio al lettore farsi trasportare dalla fantasia, come auspicava l’artista.







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